La Trinità? Come affrontarla? La fede vacilla, lo spirito deraglia, eppure dobbiamo ammettere che è li che tutto si ritrova, che sta li la differenza. Per dire la Trinità dobbiamo dire TRE e il dialogo risponderà UNO. E questa presenza dell’altro diverso ci rinvia alla comunione dove INSIEME ci è permesso di dire che è UNO, che non c’è altro che Lui… e se il fratello ebreo si unisce a noi, ecco che saremo TRE per dire che è UNO, per proclamare che Egli è Santo, anzi tre volte Santo.
Oggi dobbiamo avere il coraggio delle differenze. Partire dalle differenze per meglio rispettare l’altro nel suo rifiuto di accettare ciò che ci distingue da lui; partire dalle differenze, per meglio farsi rispettare anche in ciò che abbiamo di unico. Perché la differenza esiste in Dio stesso, nell’assoluto delle persone, del Padre che non è il Figlio. E così il cristiano è in marcia verso l’altro, verso tutti gli altri, nel nome stesso del mistero di Dio che è comunione delle persone. Ed è anche in marcia verso il mistero ineffabile di essere unico per grazia dell’Unico. “Dammi un cuore che ama”, diceva Sant’Agostino “e capirà cosa vuol dire Trinità”.
Ma non fa niente se non riusciamo a spiegare la Trinità. Non si può dimostrare l’amore. Descriverlo è come tradirlo! L’unico modo di credere nell’Amore che è Dio vivente, è di lasciare che l’Amore ci dia di amare pienamente. E così i TRE che sono UNO continuano a donarsi insieme alla moltitudine, in remissione del peccato di divisione, facendo opera di comunione attraverso i nostri poveri doni, ogni nostro atto di buona volontà, un semplice bicchiere d’acqua, il pane e il vino di questa offerta filiale.
(Frère Christophe Lebreton, Lorsque mon ami me parie, 17/6/1984)