LO SGUARDO SILENZIOSO E AMANTE DELL’ADORAZIONE
Luca 1, 26-38
Visto che celebriamo oggi la festa della radice 1, della terra, degli “inizi” del nostro Dio, entriamo nella sua gioia fontale e primordiale. Forse, oggi più che mai, nella nostra vita, questa festa del primo momento di vita della vergine Maria è per noi una festa, un’occasione di gioia, come canterà l’angelo rivolgendosi a lei all’Annunciazione: “Rallegrati, piena di grazia”. Non una festa che ci consentirebbe di dimenticare i nostri guai, le nostre sofferenze, la nostra morte, ma una festa che ci tocca e ci raggiunge in modo ben più profondo rispetto a tutto ciò che ci opprime.
Se avete ascoltato e meditato le prime due letture che abbiamo letto nella festa odierna 2, e se avete capito cosa ci vogliono dire, sarete stati colpiti da quanto tali cose ci capiti di sperimentarle nella nostra vita personale e comunitaria di ogni giorno. Siamo noi quella terra, e pensiamo che essa sia maledetta. La terra sembra in fin dei conti produrre soltanto morte… non tanto questa bella terra dove il nostro Dio irradia già la sua gloria, ma quella terra costituita da ciascuno di noi, in considerazione delle meraviglie che sembravamo promettere. Non è forse ciò che è più bello a poter risultare sempre la realtà più sfigurata?
Ebbene, tale terra, in maniera davvero misteriosa, è per ogni essere umano la madre. È questo il mistero della prima Eva, che in principio, quale terra che dona la vita, fu la prima e la più bella manifestazione del nostro Dio; al tempo stesso, però, essa fu la prima a rivelarci che questa vita può essere soltanto gratuità: dono e accoglienza gratuiti. Il suo peccato fu di volere, al contrario, afferrare e possedere.
Paolo canta questo mistero all’inizio della Lettera ai Filippesi, quando parla della benedizione traboccante, sovrabbondante, mediante la quale siamo amati, fin dalla fondazione del mondo, nel Figlio amato. Solo l’amore gratuito e preveniente del Padre può riscattare ogni nostra possessività che porta con sé la morte.
Al vertice del compimento di quella benedizione, possiamo contemplare allora la Vergine: Maria è il frutto della prima terra con i suoi doni in attesa, le sue incrinature e le sue privazioni, ma in lei risplende pure, fin dall’inizio della sua esistenza, la ripresa, la restaurazione, la “rimessa in circolazione” direbbe Ireneo, della linfa divina in tutta la creazione. È salvata per pura grazia, tutto in lei è amore preveniente. Così, qualche anno dopo, l’angelo la potrà salutare come “piena di grazia”.
Forse ne siamo meravigliati, ma la Bibbia non ci rivela nulla riguardo al concepimento di Maria. Gli inizi della vita sono sempre silenziosi, li si può cogliere solo dopo che una prima crescita è avvenuta. È proprio quel che capita a Maria, che è la prima a essere meravigliata, “sconvolta”, ci dice Luca. È al termine di diversi anni, nel corso dei quali il dono gratuito è stato lasciato fruttificare, che Maria viene salutata, scoperta, riconosciuta come “piena di grazia”.
A noi spetta anzitutto di adorare il Signore più forte di ogni morte, questo Signore di amore, di vita, di sovrabbondanza nella grazia, che nella Vergine realizza il senso fecondo di tutta la storia, di tutta la vita. Maria è la personificazione della chiesa, ed è anzitutto in lei che possiamo comprendere quel che il Signore rivela e realizza nella nostra vita. Bisogna però partire dall’adorazione: adorare è la nostra prima risposta, gratuita, alla gratuità dell’amore che il Padre riversa su noi tutti. Chiediamole di insegnarci ad adorare, a lei che è silenzio; il silenzio è il primo linguaggio dell’amore, quando la sua sorgente inizia a sgorgare.
Dopo questo primo passo, attraverso di lei, potremo comprendere che anche noi siamo, e ciascuno di noi è, una terra misteriosa, una terra desolata e arida. Di solito il clima che si ha nel giorno della festa dell’Immacolata è un clima invernale, di attesa delle piogge e delle nevi che non tarderanno, ed è un clima desolante. Tutto concorre, probabilmente, in questi giorni, a rendere desolati i nostri cuori. Ebbene, non importa affatto, perché è in un simile inverno, in questa terra desolata e nell’attesa, che comincia e ricomincia incessantemente colui che è sempre il principio. È in queste profondità che veniamo concepiti, è lì che ha inizio la vita, la vita nel suo gemito gratuito, la vita nella sua stupefacente ricchezza di amore.
Solo lo sguardo silenzioso e amante dell’adorazione ci può consentire di riscoprire il mistero della terra e del concepimento. Quanto a noi, la forma radicale della somiglianza alla prima Eva sta nel rifiutare noi stessi. L’autore, molto realista, del terzo capitolo della Genesi ha ragione quando parla di maledizione. Una maledizione è quasi sempre l’interpretazione umana della separazione da Dio. Noi malediciamo noi stessi, chi può negarlo? Ed è proprio perché vi è anzitutto in noi un tale focolare di maledizione rivolta contro noi stessi che, di quando in quando, esso esplode giungendo a coinvolgere anche gli altri nelle sue conseguenze mortifere. Tali esplosioni vengono chiamate “improvvise” nel linguaggio corrente, ma non sono affatto così improvvise come si vorrebbe credere.
Per questo è urgente che ci lasciamo guarire alla radice. Il mistero della radice, dell’inizio, della terra d’inverno, ci è offerto da Maria, nello Spirito santo, affinché lo viviamo assieme a lei, ciascuno secondo le proprie possibilità.
Lasciamoci amare gratuitamente: l’Amore ci previene, dissipa ogni maledizione e ci colmerà di benedizioni. “Non temere, hai trovato grazia presso Dio”. Ciascuno di noi può udire questo annuncio.
Tratto da: La gioia del Padre (5,99€ su Amazon)
[1] Omelia pronunciata nel 1975 in occasione della festa dell’Immacolata concezione.
[2] Si tratta di Gen 3,1-20 ed Ef 3,1-14.