Il Signore Gesù riesce a coniugare sempre dolcezza e fermezza, rigore e apertura, obbligazione e libertà. Le parole con cui si rivolge ai suoi discepoli alla vigilia della sua passione sono chiare, eppure ammettono mille sfumature: «Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,17).
Questo detto del Signore, che potrebbe anche essere accolto come il riassunto di tutto il vangelo, ha la forza e la debolezza del seme. Ogni seme, per la sua piccolezza, può essere facilmente dimenticato e ignorato, ma se attecchisce nel solco può sorprendere con la bellezza e abbondanza dei suoi frutti. Il Signore Gesù non ha paura di usare una parola come «comando», ma trasmette ai suoi discepoli la sapienza propria della creazione e della redenzione in base alla quale ogni prescrizione ha come fine la dilatazione e l’incremento della vita. In una sola frase è racchiusa tutta la nostra avventura umana: accogliere il dinamismo creativo e incontrollabile dell’amore, maturando nella capacità di dare al nostro desiderio di amare un quadro preciso in cui si possa realizzare concretamente.
Nel vangelo di quest’oggi il Signore ci svela il centro del suo dinamismo interiore, attorno al quale ruota ogni sua parola e ogni suo gesto fino alla sua disponibilità a dare la sua vita senza timore e senza rimpianti: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (15,13).
Una frase che scalda il nostro cuore, fino a desiderare di poterla non solo ripetere a parole, ma vivere concretamente nel quotidiano della nostra vita. La bellezza entusiasmante di questa frase si riveste del suo aspetto drammatico quando «dare» la vita significa accettare che gli altri se la prendano fino a rischiare di calpestarla e di disprezzarla. Proprio mentre il Signore accetta per intero le conseguenze di un amore che si dona incondizionatamente, non teme di ribadire: «Voi siete miei amici, se fate ciò che vi comando» (15,14). Il rischio è di regredire alla logica legalistica di ciò che è permesso e di ciò che è proibito, al meccanismo ossessivo di cercare continuamente la rassicurazione della legalità riducendo la fedeltà discepolare all’osservanza di tutta una serie di obblighi e di divieti.
Al contrario, il «comando» del Signore Gesù è di recuperare e di accrescere continuamente la fantasia di un cuore che sa amare e che vuole amare, fino a inventare gesti e linguaggi nuovi per dire fino in fondo l’amore.La pagina di storia della Chiesa di cui si fa eco la prima lettura ci ricorda che i primi passi della comunità sono stati segnati proprio dallo sforzo di non accontentarsi di eseguire e di ripetere, ma di immaginare e creare nuovi e sempre più ampi orizzonti di speranza che fossero massimamente inclusivi, rinunciando all’esclusiva di far parte di un gruppo scelto, eletto, legale. La «lettera» (At 15,30) che la comunità di Gerusalemme invia a quella di Antiochia ha come fine non quello di comandare, ma di dare delle indicazioni attraverso cui la comunione tra «fratelli» (15,23) sia fonte di «incoraggiamento» (15,31).
Signore risorto, il tuo comando ci tocca nel profondo del cuore perché incoraggia il nostro desiderio di amare e di essere amati in modo incondizionato e creativo. Rinnova in ciascuno di noi la passione per il bene dell’altro e sia per noi la bussola infallibile per le nostre scelte fallibili. Alleluia!
Fonte: Messalino Dehoniane